Franco D'ANDREA - "Combinazione 1" - Via Veneto Jazz - VVJ 029 - 66'49" Il già prestigioso catalogo della "Via Veneto Jazz", etichetta condotta con passione e competenza da Biagio Pagano, si arricchisce di una nuova perla, questo splendido CD registrato da Franco D'Andrea a Bologna a fine agosto scorso. L'album rappresenta una sorta di summa dell'arte pianistica e compositiva di D'Andrea che in effetti presenta le sue due ultime formazioni, il "New Quartet" e gli "Eleven", ulteriormente impreziosite dagli interventi del trombettista Steven Bernstein. Il risultato Ë davvero straordinario: innanzitutto D'Andrea si riconferma compositore dalla vena fervida e immaginifica firmando tutte e nove le composizioni contenute nel CD tra cui spiccano, a nostro avviso, "Ojos" e "Barossa" Ma Ë tutto l'andamento del CD che denota l'acuto senso della costruzione posto in essere dal pianista meranese: si parte ( e si arriva) con un brano in trio - Bernstein, Andrea Ayassot sax alto e Alex Rolle alla batteria -, si prosegue con il quartetto, si passa quindi agli Eleven e poi di nuovo al quartetto ... e via di questo passo in un'alternanza di situazioni in cui il fluire improvvisativo bilancia perfettamente le parti scritte com'Ë oramai consuetudine del migliore D'Andrea. Il quale, ovviamente, non si risparmia come strumentista: il suo pianismo appare spumeggiante e torrenziale come sempre a riprova di un entusiasmo, di una gioia di suonare, di un'ansia di ricerca, che sono ben lungi dallo spegnersi. Insomma davvero un bel disco che se da un lato rappresenta una sintesi di quanto D'Andrea ha fatto fino ad oggi, dall'altro ci indica le strade che il pianista intende seguire nel prossimo futuro.
Danilo REA "Lost In Europe" Via Veneto Jazz Si potrebbe definire il Re Mida della tastiera, dato che Rea riesce a trasformare in pregiato concertismo qualsiasi materiale sonoro affronti: lo dimostrano sia le sue prove jazzistiche, sia la presenza al fianco di artisti della musica leggera di sicuro spessore, da Mina a Fiorella Mannoia. Nei suoi piano-solo - registrati in giro per l’Europa nell’estate 2000, da Montreux a Pori – il pianista ha comunque utilizzato di rado sue composizioni anche estemporanee ("Sospensioni") concentrandosi soprattutto su brani con cui ha affinità melodica od armonica, spesso componendoli in associazioni stranianti in astratto ma convincenti in quanto a logica (e fantasia) musicale. Nel giro di tre minuti Rea è in grado di partire da un musical di Leonard Bernstein, passare per il classico Debussy e giungere al Luigi Tenco malinconico ed intimista di "Un giorno come l’altro". Così può passare da una ballad ad un pezzo pop, piroettare su sé stesso ("La danza", scritta con Roberto Gatto) e planare su Mr.Pc. di John Coltrane. E’ un esercizio di stile difficilissimo che ha insito il rischio del manierismo e del virtuosismo: Rea riesce a restare magicamente in equilibrio ed è un vero piacere ascoltarlo. Se a qualcuno viene il sospetto di un'operazione post-moderna ed uniformante, l'ascolto dell'album e soprattutto dcell'artista dal vivo può fugare tali dubbi: Rea associa i brani in base ad un'affinità tutta musicale, ad un sensibilità che risuona su corde multiple sensibilissime e i suoi "esercizi di stile" non peccano mai di freddezza, semmai di un eccesso di sentimento. (Luigi Onori)
Mauro NEGRI - "Clarinet trip" - Via Veneto Jazz - VVJ 027 - 67'11" Il clarinettista e sassofonista Mauro Negri è sicuramente uno dei musicisti italiani che maggiormente si è posto in evidenza in questi ultimi anni: basti citare, al riguardo, la sua ultima prestigiosa collaborazione con il quartetto del batterista Aldo Romano con cui ha ottenuto successi davvero in ogni angolo del mondo . Questo CD ce lo restituisce nella dimensione di leader alla testa di un gruppo comprendente Bebo Ferra alla chitarra, Christian Meyer batteria e percussioni, Fiorenzo Delegà al basso , Marco Zoccarato e Piero Cotto voci. L'album, cosa rara di questi tempi, è a tema: Negri e compagni hanno, infatti, voluto ribadire la preziosità di uno strumento, quale il clarinetto, che specie negli ultimi anni fatica a trovare nell'ambito del jazz una sua precisa collocazione. Di qui la particolare scelta del programma: cinque brani appartenenti al repertorio dei cinque clarinettisti omaggiati (in particolare Benny Goodman, Artie Shaw, Woody Herman, Pee Wee Russell e Barney Bigard), cinque composizioni originali firmate da Negri ed ovviamente dedicate anch'esse ai cinque grandi del clarinetto , più una parte conclusiva composta da testi scritti e narrati dall'attore Marco Zoccarato, aneddoti e cronache sempre sui cinque clarinettisti . Operazione, come si nota, particolarmente rischiosa data la grandezza dei personaggi cui ci si riferisce. Ma operazione perfettamente riuscita grazie da un canto al profondo interplay che caratterizza il gruppo, dall'altro alla straordinaria abilità esecutiva del leader che si riconferma musicista, specie al clarinetto, in grado di non sfigurare dinanzi ai grandi specialisti internazionali.
Enzo PIETROPAOLI - "Urban waltz" - Via Veneto Jazz - VVJ 026 - 55'57" Enzo Pietropaoli è a nostro avviso uno dei migliori jazzisti, non solo a livello italiano, che non ha ancora ottenuto i riconoscimenti che merita. Si tratta in effetti di un contrabbassista dotato di una eccellente preparazione di base e di un'inventiva non comune che mette al servizio di progetti sempre innovativi ed originali. Ne è la riprova questo "Urban waltz" in cui il contrabbassista si presenta con un organico inedito per le sale di incisione anche se, in realtà si tratta di vecchi compagni d'avventura : Marcello Sirignano al violino, Marcello Di Leonardo alla batteria e Gabriele Mirabassi al clarinetto. Com'è sua consuetudine , Pietropaoli ama lavorare sulle sonorità: di qui l'inserimento nel gruppo del violino magistralmente suonato da Sirignano che si integra perfettamente con la timbrica del clarinetto per un impasto sicuramente affascinante. Ed in tale contesto assolutamente decisivo è l'apporto di Gabriele Mirabassi che oramai non fallisce un appuntamento che è uno. A cucire il tutto Pietropaoli con il suo contrabbasso dal sound così personale; ed è lo stesso musicista genovese ad aver fornito al gruppo la maggiorparte del materiale tematico : sono suoi ben sette brani su dodici tra cui alcuni vecchi cavalli di battaglia quali "Tengo un tango" e "Sciorinando". L'album è completato da tre omaggi rispettivamente a Sidney Bechet ("Petit fleur"), a Ornette Coleman ("Tears inside") e a Renato Carosone ("Abbasso il contrabbasso"), e da un brano pop ("Mother nature's son" di Lennon e McCartney") eseguito con impareggiabile buongusto dal quartetto.
KLEZROYM, “Scenì”, Anagrumba/Compagnia Nuove Indie, GDL 12163, 68’49’’. Da anni la musica klezmer suscita interesse in varie aree sonore; in ambito jazz sia il clarinettista Don Byron che il sassofonista John Zorn (con il quartetto Masada) ne hanno diffuso stilemi e repertorio che ancora fermentano nell’area dell’avanguardia newyorkese. Il gruppo romano KlezRoym (Andrea Pandolfo, tromba e flicorno; Gabriele Coen, sax soprano e clarinetto; Pasquale Laino, sax alto e baritono, clarinetto basso; Eva Coen, voce; Riccardo Manzi, strumenti a plettro; Marco Camboni, basso e contrabbasso; Leonardo Cesari, batteria) in due anni di attività sta conquistando un posto di rilievo nel panorama italiano ed europeo. “Scenì” è il loro secondo album ed ha il pregio di tenere vivo il repertorio yiddish tradizionale (da cui provengono numerosi brani eseguiti dal gruppo) e di aggiornarlo/attualizzarlo a livello sia di arrangiamento che negli spazi solistici, influenzati anche dal linguaggio jazz. Coen e Pandolfo, in particolare, si dimostrano solisti di spessore ma è tutto l’ensemble che spazia - con fantasia e scioltezza - in un universo sonoro ricco di ingredienti mediterranei ed est-europei (dall’Umgheria proviene “Szol a kakas mar”). Sono, infatti, presenti nel Cd brani di tradizione sefardita (ebraico-spagnola) e solisti arabi di vaglia come Karam Abdelmagid (oud) e Abdullah Mohamed (darbouka), ospiti in “Trokar Kazal, Trokar Mazal”, “Klezmer Song” e “Morenica”. Oltre al versante strumentale (“To East”, “Scenì, scenì”, “Nostalgia” “Regalo di nozze”) hanno un ruolo importante i brani cantati da Eva Coen tra cui spicca una versione mediterranea della “Canzone dell’amore perduto”. Il Cd ha come filo conduttore i brevi interventi denominati “Radio Freylach” (che simulano un’emittente radiofonica) e si chiude con due remix. (Luigi Onori)
Giovanni LO CASCIO / Arnaldo VACCA, “Boom Boom Language”, Ludos / Compagnie Nuove Indie, QSDL 12153, 44’12’’. Nella foto centrale del libretto i due musicisti appaiono, con un gioco di specchi, circondati da strumenti a percussione provenienti da aree differenti. L’immagine simboleggia bene l’assoluta parità rispetto al progetto musicale e la sua filosofia che fa di quello ritmico un linguaggio universale, diffuso grazie anche alla “radio che con le sue mille musiche ci ha fatto conoscere i suoni del mondo” (come scrivono i percussionisti). Dal balafon alla tammorra, dal marranzano all’udu, Lo Cascio e Vacca traggono suoni che hanno radici in luoghi diversi del mondo ma interagiscono tra loro, comunicano, dialogano. I campionamenti e la programmazione, poi, offrono un ulteriore possibilità di ‘meticciato ritmico’ dal risultato né ecumenico né tantomeno consolatorio. Ciò avviene, probabilmente, perché un altro tema forte di “Boom Boom Language” è quello del potere (e della sua brama) che distruggono l’uomo. Esplicito il messaggio dell’iniziale “Senza memoria”, con versi tra il siculo e l’italiano che stigmatizzano i frutti dell’odio seminato per ipocrisia. Anche in “Regnare il mondo (fa girare la testa)” si avverte un’analoga presa di posizione: “sento il friddu de sta guerra / de sta gente senza terra / quanta rabbia che me sale su”. Sull’asse percussioni/voce (quella di Elvira Impagnatiello) si innestano gli strumenti di vari ospiti come il vibrafono di Francesco Lo Cascio e il violino di Marcello Sirignano per un progetto che ricorda - nello spirito - le esplorazioni di John Coltrane alla ricerca delle comuni ed universali ‘essenze’ della musica. (Luigi Onori)
NOUR-EDDINE, “Gnâwa & Jahûka Trance”, Cous Cous / Compagnia Nuove Indie, QSDL 15151, 64’08’’. La confraternita degli Gnawa ha un posto importante nella cultura del Nordafrica. Venne, in origine, costituita da schiavi provenienti dall’Africa Nera ed islamizzati; la loro musica rituale e devozionale - di ascendenza sufi - ha attirato l’interesse di vari musicisti, da Brian Jones dei Rolling Stones ad Ornette Coleman (che con loro incise) fino al pianista afroamericano Randy Weston. Egli, che ha vissuto a lungo a Tangeri e nel continente nero, identifica nella musica gnawa un importante precedente del blues; a suo tempo Weston ha prodotto album e portato in giro i musicisti di questa area, in gran parte proveniente dal villaggio di Jahjûka vicino alla catena dei monti Rif. Nell’album “Gnâwa & Jahûka Trance” - dal respiro pedagogico - Nour-Eddine propone la musica degli Gnawa in 18 brani tra cui 8 “tracce didattiche” che introducono gli ascoltatori ad altrettante figurazioni ritmiche di base. Musica da trance, cosmogonica, legata a sette colori e alla danza, quella degli Gnawa marocchini va inquadrata nelle loro cerimonie che sono, in buona sostanza, dei riti di possesione a fini terapeutici. Attravero le tre fasi (“ada”, “kûyû” e “m’louk”) ci si approssima alla trance e il Cd di Nour-Eddine cerca di avvicinare l’ascoltatore a questo particolare universo così legato al continente nero (“Mama Africa” è la prima traccia), grazie anche alla notevole messe di informazioni presenti nel libretto. I brani sono stati tutti realizzati dal percussionista che ha sovrainciso numerosi strumenti, dal djembé al bendhir. (Luigi Onori)
"Jazz in Italy - In the 40s" - Riviera Jazz Records - RJRCD 006 - 68'07" E' davvero strano il mondo discografico del jazz italiano: non passa quasi giorno senza che venga fuori un nuovo CD di cui non sempre, diciamoci la verità, si avvertiva la mancanza. Viceversa di tutta quella musica dei decenni che vanno grosso modo dal '30 al '50 sono disponibili sul mercato pochissimi album. Eppure si tratta di un vero e proprio tesoro musicale che andrebbe adeguatamente studiato e valorizzato per capire meglio come si è evoluto il jazz italiano in tutti questi anni e soprattutto per scoprire come già allora nel nostro Paese fossero attivi straordinari musicisti che se adeguatamente contestualizzati assumono uno spessore davvero rilevante. A coprire questa grave carenza è intervenuta da pochi anni una piccola etichetta - la Riviera Jazz Records - che, curata da Adriano Mazzoletti con la cura e la professionalità che tutti gli riconoscono, sta mettendo a disposizione di appassionati e studiosi delle vere e proprie perle di cui questi due album sono un pregevole esempio. In particolare "Jazz in Italy in the 40s" è dedicato interamente a quattro musicisti - il clarinettista e altossasofonista Franco Mojoli, il batterista Claudio Gambarelli, il tenorista e direttore d'orchestra Eraldo Volonté e il pianista , allora giovanissimo, Giampiero Boneschi - che rappresentano altrettante figure determinanti del passaggio del nostro jazz dal periodo pre-bellico a quello dell'immediato dopoguerra. Le incisioni raccolte vanno, infatti, dal 1945 al 1947 : in particolare il CD presenta le registrazioni effettuate a Milano il 25 aprile del 1945 presso gli studi della Columbia da un quartetto comprendente il diciottenne Giampiero Boneschi , il chitarrista Franco Cerri, il contrabbassista Michele d'Elia e il batterista Giuseppe "Pinun" Ruggeri. A molti soprattutto giovani appassionati queste registrazioni del 25 aprile '45 non diranno molto dal punto di vista storico e invece si tratta di incisioni particolarmente importanti dal momento che furono le prime ad essere effettuate nel nostro Paese dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ma, importanza storica a parte, tutti e quattro i brani registrati in questa occasione vanno ascoltati con attenzione denotando una notevole valenza artistica specie nella statura di Boneschi . Ma faremmo un torto agli altri pezzi presenti nel CD se non aggiungessimo che tutti sono di alto livello con un Mojoli che dimostra di meritare appieno la considerazione di quanti lo giudicavano uno dei migliori musicisti europei degli anni '30 e un Eraldo Volonté che non avrebbe mancato di mettersi in luce anche negli anni successivi.
"Jazz in Italy - Under fascism - I Maestri del Ritmo" - Riviera Jazz Records - RJRCD 001- 71'46" "Jazz in Italy under fascism - I maestri del ritmo" racchiude invece incisioni del '41 e '42, effettuiate per l'appunto dai "Maestri del Ritmo" ovvero un piccolo contingente dell'orchestra diretta dal pianista Enzo Ceragioli agli inizi degli anni 40. Pubblicato qualche tempo fa, è stato ora rieditato per rispondere alle richieste di mercato. E bene ha fatto la "Riviera" dal momento che si tratta di un documento davvero prezioso. Come narra nelle note che accompagnano il CD Piero Cottiglieri, ogni seduta di incisione rappresentava una vera e propria avventura : Ceragioli, Mojoli, Pippo Starnazza alias Luigi Redaelli, Astore Pittana, Ubaldo Beduschi e lo stesso Enzo Ceragioli si recavano a Milano negli studi della Odeon in via Monviso sfidando non solo il divieto di suonare musica americana ma anche le frequenti interruzioni della corrente elettrica e le poco accoglienti condizioni ambientali (negli studi faceva tanto freddo che alcuni erano costretti a suonare con cappotto e guanti) . Ma l'entusiasmo era tanto così come la capacità interpretativa. Di qui una serie di incisioni che ancora oggi stupiscono per la loro modernità . Certo, la qualità tecnica non è eccezionale visto che tra l'altro , a causa delle gravi carenze determinate dalla guerra, la pasta utilizzata per la stampa dei dischi era scadente e quindi per la preparazione del CD sono stati utilizzati 78 giri in non perfette condizioni. Ma l'interesse storico ed artistico delle registrazioni ripaga ampiamente delle imperfezioni tecniche.
Sweet Jazz Trio - " Very swedish" - Arietta ADCD 21 - 55'552"
Sweet Jazz Trio - "Soft sound from a blue cornet" - Arietta ADCD 10 - 60'32" Ecco un trio particolare nell'organico e nella proposta musicale: Lasse Tornqvist alla cornetta, Mats Larsson alla chitarra e Hans Backenroth al basso sono i componenti dell'originale "Sweet Jazz Trio" che trova le sue radici nel profondo Nord. I tre sono, infatti, svedesi e pur essendo attivi oramai da molti anni sono ancora quasi sconosciuti al pubblico italiano. E' quindi con piacere che presentiamo questi due loro CD che ne mettono in evidenza le doti tutt'altro che trascurabili. Lasse Tornqvist nato nel 1935 a Bromma, periferia di Stoccolma, comincia a suonare la cornetta all'età di quindici anni per diventare musicista professionista nel '52; nel '57 lascia la musica per dedicarsi ad una carriera di business-man ma la vecchia passione si fa risentire nel 1973 quando ritorna al jazz per suonare in gruppi di mainstream . Nel 1992 la geniale intuizione di costituire un trio che si distingua per la composizione e per la musica: nasce così lo "Sweet Jazz Trio" che fin dalle origini annovera anche il chitarrista Mats Larsson . Mats è un musicista di formazione classica essendosi diplomato alla Royal Academy of Music di Stoccolma e proprio questa "discendenza" ne fa la spalla ideale per il leader cornettista. Il trio è completato dal contrabbassista Hans Backenroth nato nel 1966 a Karlstad; Hans comincia a suonare il basso elettrico all'età di otto anni per passare al contrabbasso nel 1985 ispirato da Paul Chambers . L'anno successivo si trasferisce a Stoccolma per studiare alla Royal Academy of Music e da allora intraprende una felice carriera che nel 1995 lo porta a far parte dello "Sweet Jazz Trio". Lumeggiata a grandi linee la personalità dei tre musicisti, resta da dire che la loro proposta si staglia nettamente nel panorama contemporaneo: si tratta, infatti, di un delicato jazz da camera, tutto giocato su un deliziosi intersecarsi di linee melodiche disegnate da cornetta e chitarra - quest'ultima impegnata anche nell'originale tessitura di un ordito armonico - il tutto punteggiato dal contrabbassista che fornisce un impareggiabile e coerente sostegno ritmico. Del tutto originale anche il repertorio soprattutto del CD "Very swedish" basato in massima parte su brani tradizionali che vengono rivisitate e riproposte in una versione che nulla perdendo della originaria genuinità ne evidenziano la freschezza melodica. Intendiamoci: la strada non è nuova ché prima di loro l'avevano percorsa - e continuano a percorrerla - con risultati eccellenti altri musicisti ma le modalità di esecuzione sono davvero peculiari in quanto era davvero parecchio tempo che non ascoltavamo un jazz così soft e nello stesso tempo così denso di contenuti.
Charlie HADEN - Nocturne - "Gitanes" 013 611-2 - 66'45" Molto particolare questo CD e per più di un motivo. Innanzitutto la formazione "principale": un trio inedito costituito dal bassista leader e da due eccellenti cubani quali Gonzalo Rubalcaba e Ignacio Berroa rispettivamente al pianoforte e alle percussioni. In secondo luogo la compagnia di illustri ospiti: i tenoristi Joe Lovano e David Sanchez, il chitarrista Pat Metheny e il violinista Federico Britos Ruiz. Infine l'atmosfera generale che si respira durante l'ascolto di tutto il CD, un'atmosfera in cui sembra prevalere l'impronta caraibica seppure filtrata attraverso la sensibilità di Haden, , musicista aperto a qualsivoglia esperienza. Così non è un caso che, a nostro avviso, i brani più interessanti siano quelli in cui ascolta il violino di Federico Britos Ruiz, vale a dire "En la orilla del mundo" di Martin Rojas con uno straordinario duetto tra violino e sax di Lovano, "Yo sin ti" di Arturo Castro in cui Britos si esercita in un vero e proprio pezzo di bravura e "El ciego" di Armando Manzanero in cui Britos e Rubalcaba danno un saggio di cosa sia il "danzòn" ovvero quel genere popolare cubano adattato dai messicani a partire dal secolo XIX. Per il resto è una carrellata di brani in cui , come accennavamo, forte è l'accento "latino" con un Rubalcaba in grande spolvero che a nostro avviso rimane una delle più belle realtà pianistiche degli ultimi anni e di cui, contrariamente a quanto affermano alcuni, colleghi non riusciamo a scorgere alcun segno di declino.
Shirley HORNE - "You're my thrill" - Verve 549 417-2 - 46'24" Ho conosciuto e intervistato Shirley Horne qualche anno fa durante un Festival alla Martinica ; ebbene ogni volta che ascolto un suo disco riprovo le stesse emozioni, le stesse sensazioni di quando mi sono trovato di fronte a questa signora dall'aria vagamente assorta, distratta come se tutto ciò che la circondava non la interessasse e che invece, avviata la conversazione, si rivelava osservatrice acuta e soprattutto donna sempre appassionata del proprio lavoro. E così ogni disco della Horne è quasi un inno d'amore alla sua musica , a quella musica che suona oramai da tanti anni con immutato entusiasmo. In particolare, in questo CD, ritroviamo la Horne e Johnny Mandel, nella doppia veste di produttore e direttore d'orchestra , ossia quel duo che aveva già dato vita nove anni fa all' album "Here's to life", splendido esempio di connubio tra artista e arrangiatore. Il miracolo si ripete anche questa volta evidenziando, se pur ce ne fosse bisogno, la loro grande affinità artistica. La Horne suona con quel surpless che le è congeniale, cui si accompagnano sempre squisita sensibilità di tocco, estrema padronanza della tastiera e un senso dello swing tanto discreto quanto perfettamente percepibile . Degli undici brani presenti nel CD , cinque sono eseguiti in trio con l'aggiunta di ospiti d'onore tra cui il chitarrista Russell Malone e ovviamente sei con l'accompagnamento dell'orchestra che si avvale però di due distinte formazioni, una esclusivamente d'archi , l'altra con l'aggiunta di fiati . Insomma un disco raffinato, convincente; interessante nella migliore tradizione di questa grande artista.
John SCOFIELD - "Works for me" - Verve 549 281-2 - 71'40" Ancora un'eccellente produzione discografica di John Scofield che si dimostra artista a tutto tondo essendo capace di cambiare radicalmente atmosfera da un disco all'altro. Così dopo il funk e il rock di "Bump" registrato nel '99, questo "Works for me" , prodotto da Richard Seidel, vede il chitarrista alla testa di un quintetto di tutte stelle jazz come l'alto sassofonista Kenny Garrett , il pianista Bred Mehldau, il bassista Christian McBride e il batterista Billy Higgins. Il linguaggio è quindi un eccellente post-bop che riesce a mettere in evidenza al meglio le qualità di tutti e cinque strumentisti tra cui, ovviamente, spicca il talento del leader che si fa valere anche come compositore (è autore di 10 degli 11 brani contenuti nel CD). Così davvero splendido "Ms. Scofield waltz" una composizione dedicata alla moglie, pervasa da un lirismo ed un senso di dolce calma non certo usuale per il cinquantenne chitarrista di Dayton, che comunque ritroviamo in "Love you long time" , un brano a medio tempo con una suadente melodia. Ma per chi ama i ritmi più intensi, niente paura: ecco "Heel to toe" dagli spiccati accenti bluesy , "Hiv" e "Loose canon" in cui Scofield si fa ammirare per il suo torrenziale ma sempre pertinente solismo. Quasi inutile aggiungere che tutti e quattro gli altri musicisti danno un contributo essenziale alla riuscita dell'album con una notazione particolare, a nostro avviso, per Kenny Garrett che riesce a forzare la sua prorompente vitalità pur di assecondare al meglio le concezioni di Scofield.
Caetano VELOSO - "Noites do norte" - EmArcy 548.362-2 - 50'44" Ecco un altro straordinario album di Caetano Veloso che si conferma l'alfiere della nuova musica brasiliana. Dopo lo straordinario successo di "Prenda Minha" di cui sono state vendute più di dieci milioni di copie con due Grammy awards , questa volta il cantautore è andato ad attingere a piene mani in quelle che sono le più autentiche radici della musica brasiliana e cioè le sue eredità africane. Di qui un album che oltre alle solite suadenti linee melodiche disegnate dalla splendida voce di Caetano, presenta interessanti trame ritmico-armoniche che fanno risaltare ancor meglio alcuni testi davvero interessanti. E' il caso, ad esempio, di "Cobra Coral" , un testo del poeta contemporaneo Wally Salomão su cui Veloso ha scritto una pertinente musica per la cui interpretazione ha chiamato accanto a sé altre due stelle brasiliane quali Zélia Duncan e Lulu Santos , e soprattutto del brano che da il titolo all'intero CD, "Noites do norte", una poesia di Joaquim Nabuco, un politico che si batté per l'abolizione della schiavitù in Brasile alla fine del'800. Tra le altre perle dell'album ricordiamo "Michelangelo Antonioni" cantata in Italiano e "Meu rio" in cui fa un'apparizione anche una promessa del samba di Rio, Dudu Nobre.
Marcio FARACO - "Ciranda" - Emarcy 5543 559-2 Ecco una nuova stella della musica brasiliana che si affaccia all'orizzonte: questo è infatti il disco d' esordio del chitarrista e cantante Marcio Faraco. Imporsi nel mare magnum della musica brasiliana non è certo impresa facile: bene ha fatto, quindi, Faraco a giocare al meglio le sue carte per questa prima fatica discografica: così per gli arrangiamenti ha chiamato un musicista di indiscusso valore come Wagner Tiso e poi, carta a sorpresa, nel brano d' apertura del CD , "Cyranda" per l'appunto, c'è accanto a lui uno dei grandi del sound brasiliano di oggi, Chico Buarque. Una siffatta presentazione merita di per sé rispetto e attenzione , che in realtà l'album merita grazie soprattutto alle qualità vocali di Faraco. Intendiamoci: niente di nuovo sotto il sole ché l'artista brasiliano richiama nettamente il celebre Caetano Veloso...eppure lo fa con una grazia, una musicalità ed una sincerità di ispirazione che lo collocano di diritto tra le grandi promesse della musica carioca . Anche perché nella sua musica è possibile rintracciare le influenze di tutte quelle correnti che hanno fatto grande la musica brasiliana: dal choro tradizionale, al samba, al tipico "baião" nordestino, alla "toada" del centro ovest...fino a quell'indescrivibile marasma di suoni, umori, sapori tipico di Rio.
Milton NASCIMENTO - "Nois bailes da vida" - Verve 546442-2 - 49'05" Siamo a metà degli anni '70 quando la musica brasiliana conquista il mondo intero grazie ad alcuni musicisti di straordinario spessore. Tra questi figura, certamente, Milton Nascimento che tuttavia solo nei successivi anni '80 troverà la definitiva consacrazione quale artista che meglio di altri saprà coniugare la cultura brasiliana con le sue radici africane . Questo album è ,invece, incentrato quasi esclusivamente sulle qualità vocali di Nascimento che presenta, nell'occasione, il suo coté più lirico abbandonando così quelle reminiscenze jazzistiche che in più di un'occasione avevano costituito punto dei forza delle sue performances ,sempre assai apprezzate dagli appassionati. Comunque, a parte questa notazione, l'album è di quelli che si fanno ascoltare con facilità per merito sia delle capacità interpretative di Milton sia della bellezza dei brani scelti. Al riguardo si ascolti con attenzione "Mania de você" , quel brano di Chico Buarque , "O que serà" , che abbisogna di grandi interpretazioni per reggere il confronto con l'originale e "Raça" un suo cavallo di battaglia.
Chet BAKER - "In Paris" - Barclay 543 547-2 - 63'52" Sono ancora in molti, nel mondo del jazz, a considerare determinante la "lezione" di Chet Baker e tra i suoi estimatori figurano musicisti che con la tromba nulla hanno a che vedere (tra questi Enrico Pieranunzi che proprio di recente ha dichiarato a Blackinradio di essere stato influenzato in maniera decisiva da Chet). Il perché si capisce bene anche ascoltando queste eccellenti ristampe: siamo a metà degli anni '50, precisamente nel 1955, e Baker sbarca in Francia dove è ancora un illustre sconosciuto. Ma basta davvero poco per mettersi in luce. Un concerto alla Salle Pleyelle, alcune sedute di registrazione e anche in quel di Parigi Chet diventa un beniamino del pubblico jazz. Ecco, "Chet Baker in Paris" documenta proprio quello straordinario periodo con le incisioni effettuate per la Barclay dall'11 ottobre 1955 al 15 marzo 1956 . La pronuncia già perfetta, l'eloquio fluido , il fraseggio originale, assoluta la padronanza dello strumento specie sui registri medio-gravi , Baker interpreta da grande alcuni standards quali "Tenderly", "I'll remember April", "These foolish things" ... in una galleria di piccoli capolavori che ancora oggi emozionano a cinquant'anni di distanza. Il fatto è che Baker aveva già sviluppato tutta la sua poetica trovando, per queste sedute di registrazione, il conforto di eccellenti musicisti perfettamente in grado di assecondare il suo disegno espressivo. Parliamo , in particolare, dapprima degli americani Jimmy Bond al basso, Peter Littman alla batteria e soprattutto del pianista Dick Twardzik , deceduto per overdose tre giorni dopo le prime due sedute di registrazione per la Barclay , e successivamente dei francesi tra cui i pianisti Raymond Fol, Gérard Gustin e Francy Boland, Jean-Louis Viale alla batteria, Benoit Quersin al basso... Come ascolterete le formazioni cambiano, ma il clima generale rimane lo stesso: rilassato, quasi in surplace con un Baker in staordinaria evidenza, già maestro di un certo modo di intendere il jazz. g. g.
Jimmy SMITH - "Organ grinder swing" - Verve V/V6-8628 - 35'55" Vi piace lo swing, quello vero, robusto, che vi fa battere il piedino nel più classico dei 4/4? Allora non potete perdere questa succosa ristampa di uno degli album più riusciti di Jmmy Smith, lo specialista per eccellenza dell'organo Hammond. In effetti, a metà degli anni '50, Smith si impose alla generale attenzione proprio suonando questo strumento che non si presentava certo né particolarmente duttile né particolarmente adatto al jazz. Jmmy Smith, invece, seppe letteralmente trasformarlo facendone, nelle sue mani, una poderosa macchina da swing. In effetti tutti i suoi album, specie quelli incisi tra la metà degi anni '50 e gli ultimi anni '60 rappresentano quanto di meglio la musica per organo Hammond abbia mai prodotto nel campo del jazz: esecuzioni tiratissime, arrangiamenti semplici ma funzionali...e soprattutto le straordinarie capacità di Jimmy Smith che sapeva accoppiare un'incredibile tecnica ad un groove trascinante. E ne abbiamo un chiaro esempio anche in questo CD del giugno '65 in cui Jimmy Smith guida uno dei migliori trii della sua lunga carriera, con Kenny Burrell alla chitarra e Grady Tate alla batteria. I brani sono tutti godibili : dal trascinante, straordinario "Organ grinder swing" che da il titolo all'intero CD (vero e proprio pezzo di bravura per Jimmy), al blues "Oh, no Babe", all'altro "Blues for J" con Smith sempre in grande evidenza, dal celebre "Greensleeves" a "I'll close my eyes" a "Satin Doll" un sentito omaggio a Duke Elington in cui un ruolo di rilievo viene giocato dai due accompagnatori di Smith. g. g.
Cristiano MASTROIANNI Quintet - "lulù" - map LTCD 0119 - 36'14" Il chitarrista Cristiano Mastroianni è il leader di questo gruppo che annovera Rossano Emili al sax baritono e clarinetto basso, Paolo Farinelli al sax alto e soprano, Daniele Mencarelli al contrabbasso e Marco Valeri alla batteria . Un quintetto, pianoless, dunque, che si basa sostanzialmente sull'interplay tra fiati e chitarra in un alternarsi di situazioni musicali che evidenziano al meglio le qualità dei singoli. Così Mastroianni mette in vetrina un proprio personale incedere in cui si mescolano senso descrittivo e senso dell'ironia , Rossano Emili alle prese con due strumenti tutt'altro che facili riesce ad esprimersi con apparente straordinaria facilità mentre Paolo Farinelli si fa preferire al sax soprano con cui costruisce assolo di pregevole fattura per senso della costruzione e fluidità di fraseggio. Il tutto sorretto da un sezione ritmica pulsante ma allo stesso tempo discreta . Il repertorio, e questo se si vuole è l'unico punto debole dell'album, è basato quasi tutto su original in quanto ad eccezione di una medley monkiana gli altri cinque brani - seppur di buona fattura - sono firmati quattro da Mastroianni e uno da Farinelli mentre il vostro cronista preferirebbe ascoltare questi gruppi alle prese con ben altri capolavori...ma questo è discorso troppo lungo da affrontare in questa sede, per cui lo rimandiamo a tempo debito.
ZUKY QUINTET - "Em...insomma ricorda" - map LT CD 0120 - 35'39" Daniele Tittarelli ai sax alto e soprano, Enrico Bracco e Maurizio Lazzaro alla chitarra, Francesco Puglisi al contrabbasso e Armando Sciommeri alla batteria sono i componenti dello "Zuky quintet" protagonista di questo CD. L'album è improntato ad una concezione del jazz che si rivela ancorata alle più solide tradizioni: di qui uno stile che pur non frequentando i terreni della sperimentazione si sviluppa, tuttavia, attraverso un linguaggio fresco ed originale che consente a tutti i musicisti di esprimere le proprie potenzialità. E funzionale a questo obiettivo appare, anche, la scelta del repertorio: quattro brani originali firmati due da Bracco e uno cadauno da Daniele Tittarelli e Maurizio Lazzaro e tre standards per la precisione "Flossie Lou" di Tadd Dameron, "Invitation" di Rapes - Washington e "Sippin at bells" di Charlie Parker . Sorretti da una sezione ritmica di assoluto livello, la front-line composta dai due chitarristi e dal sassofonista ha modo di periodare in tutta sicurezza dando vita ad alcuni assolo notevoli per gusto e capacità costruttiva. I questo senso particolarmente brillanti il Puglisi di "Mr. Brady" di Enrico Bracco, il Tittarelli di "Allullis dilemma" firmato da Enrico Bracco e di "Senza parole" di Maurizio Lazzaro quest'ultimo in bella evidenza anche in "Flossie Lou" e in "Sippin at bells". Comunque a nostro avviso l'interpretazione migliore è quella di "Invitation", un brano assai frequentato nel mondo del jazz che pure lo Zuky Quintet ha saputo affrontare con originalità proponendo tra l'altro un convincente assolo di Enrico Bracco il cui disegno espositivo riesce a lumeggiare ogni aspetto dello splendido brano di Rapes e Washington.
Carlo MEZZANOTTE & SYNTAXIS - “Cieli Diversi” - Map SC.CD0206 52’22’’ Un pianismo enciclopedico e virtuoso, una riuscita ricerca di suoni tastieristici, uno spiccato senso della composizione e dell’arrangiamento, una ben dosata confluenza di elementi acustici ed elettrici sono le caratteristiche di questo album, il secondo per il gruppo guidato dal musicista romano Carlo Mezzanotte. Oltre al leader (al piano e alle tastiere) sono presenti Massimiliano Rosati (chitarra), Valerio Serangeli (basso), Stefano Pacioni (batteria), Alberto Di Giacomo (percussioni); la tromba di Claudio Corvini appare in “FFF” mentre la voce di Liliana Jimenez è basilare nell’ispirata canzone “Cercatore” che chiude il Cd. “Cieli Diversi” ha una solida struttura generale e percorre due linee parallele di ricerca: una squisitamente pianistica che risente della lezione classica e contemporanea europea quanto del jazz; l’altra intimamente tastieristica e riprende suggestioni e poetiche della stagione dle jazz-rock, troppo presto liquidata e rimossa. “Big Land” e “FFF” riannodano fili che partono dai Weather Reaport e dal Miles Davis ultima stagione; “Papa Z” allude a Frank Zappa mentre “Chickmate” richiama volutamente Chick Corea. Su questi capisaldi, l’album affascina per l’alternanza di dimensioni elettriche ed acustiche. In “Cieli Diversi” è il solo piano aa dominare una scena ingombra di inquietudini sonore contemporanee; in altri episodi le due dimensioni si fondono, come in “One More Step”. “Canto de los Recuerdos” ed “Aria bruciata”. Ben incanalati in partiture complesse, i collaboratori di Mezzanotte si plasmano sulla sua filosofia sonora ed insieme realizzano un album di intrinseca poeticità, lontano dagli accademismi e dal maistream. Luigi Onori
Massimo COLOMBO / Stefano CERRI / Walter CALLONI - “Salti ed Assalti“ - Map S.C. CD 0202 48’54’’. Un trio davvero paritario quello con Massimo Colombo al piano, Stefano Cerri al basso elettrico e Walter Calloni alla batteria, musicisti dell’area milanese uniti da anni di professione e militanza sonora (il gruppo si chiama Linea C). Colombo emerge come il compositore più prolifico (sette brani su undici) ma i suoi compagni di viaggio non sono da meno: Cerri firma la swingante “A Stay in the Bell” (con un bruciante raddoppio di tempo) e “Stand”, dalla felice melodia; Calloni è autore di “Al Pub” ma soprattutto di “Moves In Nine” la cui parte iniziale vede la batteria assoluta protagonista in un’originale elaborazione. Qua e là riferimenti a Voltaire (“Salti ed assalti”), alla musica latina (“Bollito cubano”), a Charlie Parker (“To Bird”) ma soprattutto a Lennie Tristano (“To Lennie”). La sobrietà, l’asciuttezza, l’assenza di compiacimento sono riscontrabili nel pianismo di Colombo e nel trio tutto che stempera il rigore tristaniano con qualche episodio più melodizzante (“Flow”, “Impulsi armonici”). Basilare è nell’incisione il ruolo di Stefano Cerri, con il suo stile davvero unico al basso elettrico; egli è capace di doppiare il piano e di dare spinta - con grande elasticità - all’intero gruppo, in un riuscita sintesi tra solismo e sostegno ritmico/armonico. E’ davvero triste pensare che questo Cd è una delle ultime testimonianze del musicista, scomparso a soli 48 anni il 24 novembre scorso. Vive ancora nella musica di questo trio e vogliamo ricordarlo così come l’abbiamo conosciuto, intento nel dare vita e spessore alla musica. Luigi Onori
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