Blues e armonia

Un uomo, che in vita era stato un mediocre sassofonista, muore e ovviamente viene spedito all’inferno, nel girone dei jazzisti. Rimane piacevolmente sorpreso quando vede tutti i più grandi musicisti afroamericani schierati in una monumentale big-band e impegnati in una rovente jam-session: stanno improvvisando su un canonico blues in Fa. "Se avessi saputo che l’infemo era così, ci sarei venuto prima", pensa tra sé e sé. Dopo poco Louis Armstrong gli fa un cenno e lo invita a salire sul palco. Il nostro non sta più nella pelle dalla felicità. "Tocca a te prendere il solo": lo incoraggia Coltrane, mentre Basie, da dietro il piano, gli strizza l’occhio. Stimolato da una simile compagnia, I’uomo ci dà proprio dentro: snocciola una serie di chorus suonando bene come non aveva mai fatto in vita sua; sottolinea con trascinanti riff i successivi interventi degli altri solisti; si lancia in una serie travolgente di scambi con la batteria. Mentre l’esecuzione va ancora avanti, appagato e un po’ stanco, si rivolge al proprio vicino, proponendogli di eseguire un tema blues, come ultimo giro. Il vicino è Charlie Parker che, mormorando con voce rassegnata, lo avverte: "Man, qui non esiste l’ultimo giro".

Il blues, inteso come giro, è senza dubbio la struttura armonica più "suonata" nel nostro secolo. Le dodici battute, con il loro ciclico ripetersi, sembrano fatte apposta per improvvisarci sopra in eterno. L’inconfondibile sequenza di tre accordi, semplice ma enormemente duttile, e l’andamento a botta e risposta tra voce e strumento sono gli aspetti tipici del Blues tradizionale, ma si prestano ad infinite variazioni anche nel Blues strumentale, e trasformano il giro in un’ideale palestra di sperimentazione anche in ambito didattico. Non per niente jazzisti e rockers di ogni epoca hanno sempre rielaborato le proprie idee sul giro di blues, applicando su questo terreno le proprie conquiste tecniche ed espressive. Il termine Blues, interpretato sempre dal punto di vista meramente formale, ha però almeno un altro significato oltre a quello di "giro armonico". È un significato che possiamo approssimativamente tradurre con i termini "scala" o "modo", oppure - in un’accezione forse meno tecnica, ma più ampia e più vicina a quella della cultura afro-americana - con la parola feeling. Se si vuole codificare questo feeling in una serie di regole armoniche (e qui tenteremo di farlo), si arriva però a scoprire che esse sono in evidente contrasto con quelle dell’Armonia tradizionale e persino con quelle dell’Armonia funzionale, o quantomeno che si tratta di regole ambigue. Ma è proprio questo che può farci capire l’essenza del Blues, nonché (vogliamo esagerare?) il nucleo profondo di tutta l’Armonia Jazzistica.

LA SCALA BLUES: UN MODO AMBIGUO

L’ambiguità alla quale alludiamo deriva principalmente dall’uso delle cosiddette "blue notes", note la cui intonazione può presentare variazioni microtonali, cioè inferiori al semitono, oscillando così tra un intervallo minore e uno maggiore. Capitava così che il bluesman cantasse una terza minore (magari un po’ crescente) mentre lo strumento di accompagnamento, accordato con il sistema temperato occidentale, suonava un accordo con la terza maggiore. L’ambiguità arrnonica sta proprio qui: il blues riesce a far coesistere il modo Maggiore con un modo Minore "stonato". Tale contrasto tra melodia e armonia verrà in seguito stilizzato e riproposto in ambito jazzistico-orchestrale, ad esempio in tutte quelle esecuzioni che contrappongono dei riff modali, basati sulla scala pentatonica minore, ad una base ritmico-armonica tonale basata sulla scala maggiore. Pensiamo al dualismo antifonale tra le sezioni di una big-band o, in formazioni più ridotte, a quello tra solista e accompagnatori. L’inflessione blues nasce dal canto, ma è stata trasferita agli stessi strumenti temperati, con espedienti mirati ad alterare l’intonazione "giusta" delle note: lavorare di pistoni e sordine con gli ottoni; tirare le corde della chitarra elettrica (bending); far urtare due semitoni vicini su uno strumento a tastiera (cluster). Se è vero che tutte le musiche nere sono caratterizzate dalla tendenza a sincopare, possiamo dire, con un paragone un po’ azzardato, che in questi casi si tratta di "sincopare le altezze" delle note, anziché la loro scansione ritmica. Queste dissonanze non vengono avvertite come elementi di disturbo, anzi costituiscono uno dei richiami affettivi più forti verso il Blues e verso i generi musicali da esso derivati: le blue notes sono ormai entrate anche nell’orecchio dell’ascoltatore medio di cultura Pop-Rock. Se il sistema tonale costituisce la Lingua Madre della civiltà musicale occidentale, possiamo quindi dire che il Blues - inteso anch’esso come sistema di aspettative melodico-armoniche, cioè come Modo o Scala - per molti è la seconda Lingua. Insomma, oltre ai modi Maggiore e Minore accettati dalla Teoria Musicale tradizionale non è azzardato parlare anche di un Modo Blues, intermedio tra questi due. Abbiamo detto che il Blues armonicamente utilizza l’impianto della scala Maggiore occidentale, mentre melodicamente troviamo delle note "bemollizzate". Queste note, dato il loro uso ricorrente nella prassi esecutiva, si sono imposte anche in sede teorica, andando ad aggiungersi a quelle della scala Maggiore, e sono principalmente tre: la terza minore, la settima minore e la quinta diminuita.
Ciò determinerebbe una scala di dieci suoni, esempio 1: Scala Blues

Dieci note in verità sono un po’ troppe se vogliamo stabilire quali sono gli accordi che derivano dalla scala: su ciascun grado potremmo costruire una gamma sin troppo ampia di triadi, quadriadi, accordi di nona, ecc., e diventerebbe difficile scegliere come concatenarli fra loro. In un ottica funzionale all’improvvisazione si preferisce piuttosto smembrare la Scala Blues in due scale derivate rispettivamente dalla pentatonica minore e da quella maggiore, alle quali si aggiunge una blue-note (nota nera negli Esempi 2A e 2B).

La Scala Blues Minore ha un carattere più "africano" e può adattarsi indifferentemente a tutti gli accordi del giro sostanzialmente non curandosi dell’armonia. Quella maggiore invece è più vincolata all’accordo di tonica di un blues in maggiore ed è perciò più "europea". Anche queste scale, comunque, non ci danno indicazioni sicure per l’armonizazione. Quando attingere da una e quando dall’altra per formare degli accordi? Quali note vanno interpretate come elementi portanti della struttura armonica? In effetti nel Blues il rapporto tra scala e accordi non è univoco, ma ancora una volta ambiguo. Non possiamo ragionare come nell’Armonia classica, sovrapponendo semplicemente per terze le note della scala, ma dobbiamo considerare queste ultime anche come "colori", oppure come "tensioni", soprattutto se si tratta di Blue-notes. Facciamo un esempio: c’è un accordo che nel Blues può essere usato con funzione di tonica, ossia come I grado, anche se la sigla lo descrive come un accordo decisamente alterato. Ai miei allievi chitarristi di estrazione Rock lo definisco semplicemente come I’accordo di Jimi Hendrix:

La nota superiore canta come Mi bemolle, cioè come una terza minore blue, ma viene chiamata nona eccedente (Re diesis), altrimenti sarebbe impossibile dare una sigla a quest’accordo. Accordo che ha un inconfondibile sapore blues proprio perchè riesce ingegnosamente a far coesistere la terza maggiore con la terza minore; la sua funzione e più che altro "timbrica" e prescinde dalle regole scolastiche dell’armonia. In quest’ottica diciamo che gli accordi vanno considerati quasi alla stregua di esseri umani, ognuno con una sua personalità, un suo carattere di tensione più o meno marcato, un timbro particolare, una disposizione a legarsi con quello precedente e con il successivo. La sigla, o la giustificazione in termini di teoria, non sempre bastano per capire realmente l’accordo. Spesso risulta più efficace definirlo metaforicamente con un aggettivo che possa evocarne il sapore/colore. In altri casi lo si può associare al titolo di un brano o, come nel caso appena citato, al nome di un autore che ne fa un uso ricorrente.

FACCIAMO UN GIRO

Ma allora, dobbiamo ignorare le fredde regole dell’Armonia? Nossignore. L’utilità didattica dell’Armonia Blues sta proprio nel suo giro. Esso infatti ci consente di inserire gradualmente delle novità armoniche su una struttura che fa parte del vissuto di chiunque. Una struttura che originariamente è di una semplicità quasi primitiva, ma che può accogliere al suo interno elementi sempre diversi di arricchimento: accordi di passaggio aggiuntivi che creano sospensione, progressioni che spostano le cadenze verso altre regioni tonali, sostituzioni che creano tensione, micro-modulazioni, ecc. L’evoluzione del giro di Blues quindi ci fa capire l’evoluzione dell’Armonia in modo naturale; ci fa sentire realmente le sue regole, anziché imporle come rigide leggi dogmatiche; ci abitua a quell’elasticità che è una componente essenziale del musicista creativo. E tra l’altro ci permette di seguire un percorso storico, oltre che tecnico.
Il giro più elementare è il basic blues di tre accordi, così distribuiti nel corso delle dodici misure:

Per entrare nel "ritmo dell’armonia blues" bisogna innanzitutto risalire alla prosodia del suo testo. Come è noto, ogni strofa di un blues cantato è composta da tre versi di quattro battute ciascuno, di cui i primi due sono identici (a, a, b). Nel suo modello tradizionale e "ideale", ogni frase copre la durata di due misure, due misure e mezzo, mentre le restanti sono lasciate allo strumento. Quest’ultimo assume una funzione di risposta alle chiamate del canto, la stessa funzione che aveva il coro nei canti collettivi afroamericani. La disposizione dei tre accordi maggiori nel corso delle dodici battute è perfettamente funzionale a questo schema: il primo verso entra sull’accordo di tonica, il secondo verso ribadisce il concetto sull’accordo di sottodominante, il terzo completa la frase sulla dominante. Le frasi di risposta del "coro" strumentale (accordi di chitarra per il bluesman o riff armonizzati per la band jazzistica) invece cadono sempre sulla tonica - accordo che funge da punto fermo, da ritorno allo stato di riposo - ma servono al tempo stesso per incitare il solista. L’evoluzione improvvisativa del jazz moderno, anche al di fuori del Blues, ha sempre rispettato questa concezione antifonale, questo rapporto dialettico tra esecutori che si stimolano e si rispondono a vicenda.
Esempio 5 Call & Response:

Sempre utilizzando gli stessi accordi, lo schema del basic-blues può diventare legger-mente più movimentato, soprattutto se il tempo metronomico è lento. Inoltre, per l’effetto bemollizante delle blue-notes (terza e settima), è possibile utilizzare le settime minori su tutti e tre gli accordi:
Esempio 6 Basic Blues 2

La settima sull’accordo di dominante è "normale", quella sul I e sul IV invece è tipicamente "blue". L’alternanza di terze e settime produce inoltre un movimento cromatico che è un aspetto fondamentale di tutta l’armonia jazzistica. Se dagli accordi di settima eliminiamo le quinte e sottintendiamo le note fondamentali otteniamo infatti una sequenza di bicordi che, letti in orizzontale come una coppia di voci parallele, disegnano dei micromovimenti cromatici. Ognuna di queste voci è in pratica una sorta di melodia nascosta nel giro armonico. Esempio 7 Melodie latenti nel Basic Blues:

L’esempio, come tutti quelli che seguiranno, non definisce più astrattamente i gradi con numeri romani, ma si riferisce ad una tonalità concreta che da qui in poi sarà sempre Sol maggiore.

FACCIAMO TANTI GIRI

A questo punto cominceremo a prendere in esame delle varianti progressive sul basic-blues. Il nostro obiettivo sarà quello di evidenziare ogni volta l’ingresso di accordi-novità in un determinato punto delle dodici battute, facendo riferimento, quando è possibile, an-che a qualche titolo o autore. Tutte queste varianti, anche le più lontane dal giro originale, avranno comunque in comune l’ingresso dell’accordo del IV grado alla quinta misura. Questa è la caratteristica che, anche all’ascolto, ci fa riconoscere un blues e che ci permette di darne la seguente definizione standard: "giro di dodici misure che risolve al IV grado nella quinta misura". La cadenza I - IV - I, che come abbiamo visto può comparire già nelle prime tre misure, è perciò un aspetto basilare del blues feeling. Abbiamo appena evidenziato il caratteristico movimento cromatico determinato da questa cadenza quando si usano accordi di settima incompleti, ma possiamo colorarla in vari modi: ad esempio sovrapponendo ai bicordi dell’Esempio 7 una nota comune (Esempio 8) o effettuando un ulteriore cromatismo discen-dente (Esempio 9). Nell’accordo intermedio dell’ultimo esempio viene sfruttata la sostituzione di quinta diminuita (o di tritono): se ad un accordo di settima incompleto sostituiamo la nota fondamentale secondo un intervallo di tre toni, otteniamo un altro accordo di settima incompleto. Questa prassi, tipicamente jazzistica, evidenzia ancor più il carattere di so-spensione e di instabilità delle settime. La sostituzione di tritono può comparire nella linea di un walkin’ bass, generando la sequenza accordale dell’Esempio 10, oppure può essere inglobata in un solo accordo: la famosa quinta diminuita dei boppers, accordo dissonante per eccellenza (Esempio 11). Un brano come Blue Seven di Sonny Rollins è proprio paradigmatico di come si possa sfruttare la ricchezza di tensione insita in questi accordi alterati. Con la sua improvvisazione tematica, Rollins esplora e sviscera i tre accordi del basic blues, anche giocando semplicemente con gli intervalli che disegnano il tema (Esempio 12). Per il momento abbiamo soltanto inserito alcuni colori nel giro base, ma non ne abbiamo ancora arricchito la struttura. La prima cosa che possiamo fare, e che i jazzisti cominciarono a fare per dare più movimento armonico al blues, è inserire dei turnaround (I - VI - ll - V) o comunque delle cadenze tendenti alla dominante.

Il punto più predisposto ad accoqliere un turnaround del genere è situato nelle ultime due misure, dove bisogna assolvere una funzione di chiusura-riapertura: annuncio che il giro finisce, ma contemporaneamente invito a cominciare il successivo, rinnovando così il piacere ciclico dell’improvvisazione. Si hanno così diverse possibilità. Quella dell’Esempio 13 è un classico "finalino" che presenta un moto contrario tra basso e canto, rendendo inevitabile un successivo "oh yeah!". L’Esempio 14 è invece il turnaround I - VI - II - V: se armonizassimo in modo diatonico, i due accordi centrali sarebbero minori, mentre in questo caso vengono trasformati in dominanti secondarie. Applicando la sostituzione di tritono a questo turnaround, possiamo avere una linea di walkin’ bass come quella dell’Esempio 15, in cui finiamo per avere un accordo diverso per ogni movimento delle due battute.

È importante sottolineare come, dal punto di vista di un solista, la presenza di un turnaround movimentato come quello dell’ultimo esempio non rappresenta, necessariamente un vincolo armonico. Anzi, la semplice Scala Blues "sta bene" su tutti gli accordi e chi improvvisa spesso la utilizza proprio in conclusione del giro, quasi a voler rivendicare le proprie radici mettendo una firma "nera" al suo discorso. In casi del genere sarà eventualmente l’accordo a doversi adattare alla scala: ed ecco che tomiamo a concepire le alterazioni come aggiunte di "colore blu" ad un accordo (vedi Esempio 16).

Abbiamo esaminato la funzione di "riapertura" del turnaround situato alle ultime due misure del giro, ma lo stesso tipo di cadenza può comparire, con durata doppia, anche all’inizio della seconda metà del giro stesso. In questo modo l’armonia si fa gradualmente sempre più serrata man mano che il giro procede, in un crescendo progressivo di tensione che sfocia nella esaltazione delle ultime due battute. Quando ricomincia un nuovo chorus si torna alla distensione e si riparte con rinnovato entusiasmo. È proprio la presenza del nuovo turnaround, un vero e proprio "giro dentro al giro", ciò che determina la fase di passaggio dal blues di tre accordi al blues più propriamente jazzistico (Esempio 17). L’ingresso del VI grado all’ottava misura diventa così un momento cruciale di spostamento armonico. L’arrivo di questo nuovo accordo può essere preparato già dalla misura precedente, in diverse maniere: con una progressione discendente di accordi di settima (Esempio 18), oppure con una progressione ascendente (Esempio 19). Se consideriamo che anche il II grado di batt. 9 può diventare un accordo di dominante secondaria (A7 anziché Am7), abbiamo a questo punto la possibilità di utilizzare nel corso del giro tutte e dodici le note della scala cromatica. Il musicista di estrazione be-bop tenderà inoltre a inserire accordi di passaggio e sostituzioni dovunque ciò sia possibile, ad esempio evitando che uno stesso accordo venga ripetuto per più di una misura. Può risultarne un giro come quello dell’Esempio 20 dove a mis. 4 viene "simulato" un II - V- I di DO e a mis. 6 viene inserito un accordo di settima diminuita per collegare il IV al I.

Un livello ancora più intenso di barocchismo cromatico si ha nel cosiddetto Modern Blues, di cui un prototipo è il parkeriano Blues for Alice (Esempio 21). Qui ormai si modula continuamente: per arrivare al fatidico IV grado della quinta misura si utilizzano progressioni discendenti di ll - V, proseguendo su questa falsariga anche a mis. 6, 7 e 8. Oltretutto il I ed il IV sono accordi di settima maggiore, derivati quindi dalla Scala Maggiore e non dalla Scala Blues, il cui sapore viene così in parte rimosso. In questi esempi non vengono segnalati gli accordi relativi alle ultime due battute, dove ovviamente ci si può sbizzarrire con i turnarounds. Una soluzione stilisticamente consona all’ultimo esempio presentato potrebbe essere il "Tadd Dameron’s turnaround" (così lo chiama Charlies Mingus) dell’Esempio 22, che utilizza accordi di settima maggiore, acquistando un sapore più "caramelloso". Un’altra variante del Modem Blues è il giro di Bluesette di Toots Thielemans (Esempio 23), brano caratterizzato anche dal tempo ternario. Interessante anche West Coast Blues di Wes Montgomery (Esempio 24), in cui il feeling "afro" delle prime tre misure contrasta con le successive sostituzioni "barocche".

Credo che questi esempi diano un’idea sufficiente di come l’evoluzione del senso armonico possa andare di pari passo con l’evoluzione del Blues. Ma un Blues con molti accordi non è necessariamente migliore di uno che ne ha solo tre. Di questa ovvietà si erano accorti ad esempio Davis e Coltrane, i quali tra gli anni ’50 e ’60 hanno sentito l’esigenza di riportare il Blues alla sua originaria concezione modale, prediligendo il Blues in minore, che in questa sede non abbiamo analizzato e del quale ci limitiamo a fomire uno schema base (Esempio 25). Brani come Footprints, Blue Trane, Mr. P C. si basano su questa struttura che elimina automaticamente le tensioni armoniche e offre una maggiore libertà solistica.

L’arte dell’armonizzatore (sia solista che accompagnatore) consiste nel saper combinare fra loro le possibilità offerte all’intemo delle dodici misure, scegliendo ogni volta una soluzione che possa soddisfare il gusto per la dissonanza a sorpresa, componente essenziale del feeling blues-jazzistico. Ciò dovrebbe avvenire possibilmente in tempo reale, cioè rispondendo agli stimoli che si vengono a creare tra i partners musicali nel corso di un’esecuzione improvvisata. A questo proposito non va sottovalutata la componente ritmico/metronomica:
suonando un sanguigno blues lento in 12/8 è possibile inserire con più relax i momenti di "sorpresa" armonica, interiorizzandoli fino in fondo, mentre un tempo swing veloce permetterà di valutare la prontezza di riflessi nell’applicarli. In quest’orgia di movimenti armonici, inoltre, dobbiamo continuare a non perdere di vista lo schema a botta e risposta cui si faceva riferimento in precedenza, senza il quale si perde buona parte del blues feeling. Anche la struttura più ricca di accordi può essere letta come alternanza di due misure in cui il solista canta, muovendosi a piacimento, seguite da due misure in cui il "coro" (gli strumenti di accompagnamento) risponde con un riff, sbizzarrendosi a sua volta dal punto di vista armonico. In un’esecuzione solistica potrà essere lo stesso individuo ad auto-rispondersi e auto-stimolarsi, mantenendo tendenzialmente questo approccio dialogico. Per ulteriori applicazioni pratiche, oltre a permettermi di consigliare il metodo per chitarra "Mille modi per suonare il Blues" (ed. Le Parc, Bergamo), propongo uno spunto di approfondimento intitolato One note Blues (Esempio 26). Il brano può essere letto come esercizio di voicing per uno strumento armonico o come esercizio di arrangiamento per due sezioni orchestrali contrapposte (ottoni e ance). L’idea è quella di muovere continuamente le voci sottostanti a due riff ritmicamente identici che si altemano in base allo schema Call & Response ripetendo sempre la stessa nota, rispettivamente la tonica e la terza minore blue. Come suggeriscono le sigle, ogni scansione andrà ammonizata sempre con un’accordo differente: la povertà melodica aguzza l’ingegno armonico. Successivamente si potranno invertire i riff, oppure lavorare su altre note ostinate - la quinta (Re), la sesta (Mi), la nona (La), I’undicesima (Do diesis) - modificando ovviamente le armonie in base al canto.

La valanga di sigle che ha invaso queste pagine forse ha generato in qualche lettore un certo timore, oppure qualche smorfia di perplessità, per l’inevitabile teorizzazione in cui si cade quando si fanno discorsi di tecnica musicale. Se la vostra impressione è stata questa, avete perfettamente ragione: il senso armonico e il feeling jazzistico non si sviluppano parlando, ma soprattutto suonando, e suonando i Blues. Tanti Blues, anche se si tratta di "Rock around the clock" o di "Siamo i Watussi".

Chi tra noi, in fondo, non ha cominciato così?

Sandro Di Pisa